Riguardo la mostra

Renata Fabbri è lieta di presentare Luminescence, la terza mostra personale di Bea Bonafini (Bonn, 1990) in galleria. Caratterizzato dalla varietà delle tecniche e mezzi espressivi impiegati, il corpus di opere presentato include ceramiche, stampe e dipinti su sughero.

Tra le opere in mostra si riconoscono pratiche care alla ricerca dell’artista, come le lavorazioni in ceramica, e nuove intuizioni materiali, come la stratificazione e il collage del foglio di sughero. Troviamo dipinti dai formati più tradizionali e opere dai profili irregolari che si distorcono per seguire lo schema compositivo imposto dai soggetti. Infine, tecniche antiche, come la litografia, incontrano nuovi materiali. È una moltitudine di forme libere quella in cui ci proietta l’artista e dove ci dimostra come ogni cosa trovi il proprio posto: una sintesi visiva di un vasto materiale di ricerca che proviene dall’antropologia, dalla sociologia, dalla scienza, dalla mitologia e dalla storia dell’arte, e che ha come fulcro la relazione tra le cose che abitano il mondo.

Entrando in galleria incontriamo scene quasi speculari di lotta e visioni amorose (Hottest Blood, 2024 e Picnic Lunch, 2024). Protagonista è una figura femminile dai capelli blu, la principessa sommozzatrice delle stampe giapponesi Kuniyoshi, ora impegnata nel duello contro una creatura marina, ora protagonista di un incontro carnale. Un mare primordiale e una colazione sull’erba dove l’armonia tra elemento naturale e umano viene costantemente negoziata attraverso rappresentazioni frammentarie e cromie iridescenti. Bonafini evoca un elemento metamorfico, una visione plurale e interrelazionale tra le forme di vita e di materia, attingendo tanto da leggende orientali e mediterranee quanto da immagini archetipiche di fecondità.

Man mano che ci addentriamo negli spazi espositivi, siamo confrontati con due opere gemelle in ceramica (Eukarya, 2024 e How One We Grow, 2024), che alludono al racconto di Clarissa Pinkola Estes “Pelle di Foca, Pelle d’Anima”. Sono masse di corpi dalle sembianze antropomorfe dotate di una forte carica simbolica – rimandano alla coreografia di un branco di animali, all’immagine del pescato del giorno, ai corpi del Mediterraneo, ma anche a forme fondamentali nel ciclo evolutivo degli organismi viventi – e che, fluttuando, o nuotando, formano spirali e cumuli-arcobaleno. Lo stesso soggetto, con gravità ribaltata, abita il collage a parete su sughero Soulskin (2024), dove le figure ibride sembrano precipitare nel rosso-arancio di un liquido amniotico.

Le presenze che popolano il mondo dell’artista appaiono avvolte da un’aura di luce, colore ed energia. In diretta opposizione al titolo della mostra, la litografia Aphotic (2024) si ispira alle zone più profonde e buie dell’oceano, dove Bonafini immagina creature marine tentacolari in grado di sopravvivere grazie alle loro capacità sensoriali anatomicamente adattate. Si tratta di un’iconografia personalissima che attinge dalle rappresentazioni preistoriche dei mutaforma e immagini filosofiche moderne, come le riflessioni sul “pensiero tentacolare” di Donna Haraway. Un’attitudine analoga è quella che l’artista dimostra nei dipinti Ama (2024) e Ablaze (2024) – di nuovo opere-coppia per formato e tecnica – dove la scomposizione del corpo novecentesca abbandona la dimensione antropocentrica fecondando nuovi significati rispetto al nostro rapporto con la terra, con la vita e con la morte.

Attraverso un immaginario magico-simbolico dai toni seducenti e mistici, la mostra sintetizza l’ultimo periodo di ricerca dell’artista dedicato all’esplorazione materiale e teorica. Bonafini prosegue lo studio di tecniche ibride, indagando pratiche vicine all’artigianato manuale e le possibilità espressive che derivano dal modo in cui queste si contaminano le une con le altre attraverso la geografia e la storia del bacino Mediterraneo e l’Asia Minore.

Renata Fabbri è lieta di presentare Luminescence, la terza mostra personale di Bea Bonafini (Bonn, 1990) in galleria. Caratterizzato dalla varietà delle tecniche e mezzi espressivi impiegati, il corpus di opere presentato include ceramiche, stampe e dipinti su sughero.

Tra le opere in mostra si riconoscono pratiche care alla ricerca dell’artista, come le lavorazioni in ceramica, e nuove intuizioni materiali, come la stratificazione e il collage del foglio di sughero. Troviamo dipinti dai formati più tradizionali e opere dai profili irregolari che si distorcono per seguire lo schema compositivo imposto dai soggetti. Infine, tecniche antiche, come la litografia, incontrano nuovi materiali. È una moltitudine di forme libere quella in cui ci proietta l’artista e dove ci dimostra come ogni cosa trovi il proprio posto: una sintesi visiva di un vasto materiale di ricerca che proviene dall’antropologia, dalla sociologia, dalla scienza, dalla mitologia e dalla storia dell’arte, e che ha come fulcro la relazione tra le cose che abitano il mondo.

Entrando in galleria incontriamo scene quasi speculari di lotta e visioni amorose (Hottest Blood, 2024 e Picnic Lunch, 2024). Protagonista è una figura femminile dai capelli blu, la principessa sommozzatrice delle stampe giapponesi Kuniyoshi, ora impegnata nel duello contro una creatura marina, ora protagonista di un incontro carnale. Un mare primordiale e una colazione sull’erba dove l’armonia tra elemento naturale e umano viene costantemente negoziata attraverso rappresentazioni frammentarie e cromie iridescenti. Bonafini evoca un elemento metamorfico, una visione plurale e interrelazionale tra le forme di vita e di materia, attingendo tanto da leggende orientali e mediterranee quanto da immagini archetipiche di fecondità.

Man mano che ci addentriamo negli spazi espositivi, siamo confrontati con due opere gemelle in ceramica (Eukarya, 2024 e How One We Grow, 2024), che alludono al racconto di Clarissa Pinkola Estes “Pelle di Foca, Pelle d’Anima”. Sono masse di corpi dalle sembianze antropomorfe dotate di una forte carica simbolica – rimandano alla coreografia di un branco di animali, all’immagine del pescato del giorno, ai corpi del Mediterraneo, ma anche a forme fondamentali nel ciclo evolutivo degli organismi viventi – e che, fluttuando, o nuotando, formano spirali e cumuli-arcobaleno. Lo stesso soggetto, con gravità ribaltata, abita il collage a parete su sughero Soulskin (2024), dove le figure ibride sembrano precipitare nel rosso-arancio di un liquido amniotico.

Le presenze che popolano il mondo dell’artista appaiono avvolte da un’aura di luce, colore ed energia. In diretta opposizione al titolo della mostra, la litografia Aphotic (2024) si ispira alle zone più profonde e buie dell’oceano, dove Bonafini immagina creature marine tentacolari in grado di sopravvivere grazie alle loro capacità sensoriali anatomicamente adattate. Si tratta di un’iconografia personalissima che attinge dalle rappresentazioni preistoriche dei mutaforma e immagini filosofiche moderne, come le riflessioni sul “pensiero tentacolare” di Donna Haraway. Un’attitudine analoga è quella che l’artista dimostra nei dipinti Ama (2024) e Ablaze (2024) – di nuovo opere-coppia per formato e tecnica – dove la scomposizione del corpo novecentesca abbandona la dimensione antropocentrica fecondando nuovi significati rispetto al nostro rapporto con la terra, con la vita e con la morte.

Attraverso un immaginario magico-simbolico dai toni seducenti e mistici, la mostra sintetizza l’ultimo periodo di ricerca dell’artista dedicato all’esplorazione materiale e teorica. Bonafini prosegue lo studio di tecniche ibride, indagando pratiche vicine all’artigianato manuale e le possibilità espressive che derivano dal modo in cui queste si contaminano le une con le altre attraverso la geografia e la storia del bacino Mediterraneo e l’Asia Minore.

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